Comunicato Stampa

San Carlo per il San Carlo?

Comunicato stampa del 16 dicembre 2015


C’è un nuovo malato in Città: l’Istituto San Carlo. E pare che non si tratti di influenza stagionale, ma di  malanni che l’affliggerebbero da tempo: bornaut, mobbing, curatime, tarmed e altre diavolerie che nel latinorum di oggi pare vogliano dire, se non proprio cancrena, almeno idropisia, scrofola o giù di lì. E questo fa male anche a noi, perché il San Carlo dovrebbe garantire pace e serenità, soprattutto ai suoi ospiti, che sono poi i nostri cari genitori o nonni. Una struttura a cui noi tutti teniamo particolarmente e dalla quale pretendiamo massima professionalità e umanità. Un complesso di ben 110-120 impiegati (che ne fanno una vera impresa), con mansioni delicate da svolgere, che richiede un’organizzazione ed una conduzione all’altezza.
E allora ci chiediamo: “Ma sarà stato inevitabile che si arrivasse a tanto? Che si dovesse chiedere il consulto di intere équipe di specialisti? Che il medico di famiglia, che aveva in cura il poveretto e che aveva la responsabilità della sua salute, non abbia riconosciuto il male sin dai primi sintomi e non sia riuscito ad intervenire, somministrando qualche cura sin da subito? Perché aspettare che le pustole si infettassero?”
E nasce un dubbio: ”Forse più che dei dottoroni, ci vorrebbe un santo!” E il santo eccolo lì, proprio davanti al nosocomio di Solduno, come l’artista Remo Rossi l’ha voluto scolpire, col cappello cardinalizio e a dorso di mulo. E’ San Carlo Borromeo ovviamente, che dà il nome all’Istituto.
Un santo mica da poco, che per far funzionare la baracca (cioè la chiesa di allora, da tempo allo sbando e da riformare), si prese la briga di andare a ficcare di persona il naso, che aveva bello lungo ed adunco, in tutte le parrocchie della sua grande diocesi. E non era fatica da poco, se pensiamo che dovette farsi a dorso di mulo appunto, anche gli impervi sentieri che conducevano ai villaggi più inaccessibili, come quelli delle nostre impervie valli. Ma San Carlo era uno fatto così, tanto da destare lo stupore generale quando decise di abbandonare la vita principesca che l’aspettava presso la corte dello zio Papa Pio IV, che lo aveva nominato cardinale e segretario privato poco più che ventenne, per correre su a Milano e dare il via a quelle scarpinate. Uno che sapeva che per riformare la Chiesa e gestire un apparato tanto grande ed importante come la sua diocesi, ci voleva ben altro che le sole prediche, ma rigore (in lui persino eccessivo), e la sua presenza e il suo impegno.
Ora non si può pretendere la santità al primo responsabile dell’Istituto, cioè al capo dicastero della nostra socialità, ma che almeno si ispiri a talune virtù del santo di Arona, che qui ci siamo permessi di evidenziare. E che si faccia carico delle scelte operate e del modo in cui sono state messe in atto. Perché a pagarne le spese non siano i nostri anziani e le nostre famiglie.

PLR Sezione di Locarno

foto: ©Ti-Press/Davide Agosta